Oceanhorn 2

Prima di iniziare, vorrei sottoporvi un piccolo quiz: cos’hanno in comune Borges, Diogene di Sinope, Totò e Peppino, Italo Calvino e i Cornfox & Brothers? Io la risposta ve la darò più avanti, ma voi intanto pensateci, d’accordo?

Cornfox & Brothers, autori di Zolda

Il motivo di questo indovinello è presto detto: mi serviva per entrare nel merito di una discussione un po’ spinosa, e cioè capire dove si colloca — e, soprattutto, se esiste — il confine tra citazione e contraffazione o, se preferite, tra tributo e plagio. Sì perché, detto fuor di eufemismo, Oceanhorn 2 questo è: un calco, una copia, e giustamente non fa nulla per nasconderlo. Perché dovrebbe? In fondo il problema non è certo suo (né degli sviluppatori), ma semmai di chi ancora si lascia condizionare da tali inezie, dimentico forse del fatto che la linea genealogica degli Zelda (come quella di molti altri eponimi) si intreccia da sempre con quella dei suoi fratellastri. 

Ocenhorn 2

Io un’idea per poter giudicare con un po’ più di obiettività la questione ce l’ho e ve la propongo così come mi è venuta: consiste nel considerarla in termini non di autenticità, ma piuttosto di eredità; pensare, cioè, a ciò che è stato scoperto — e in seguito cristallizzato in una formula — come a un qualcosa fatto per passare di mano in mano e quindi ricalcata e/o modificata nella misura che ognuno ritiene necessaria. Dopotutto non stiamo parlando di economia e il pericolo di svalutazione non è qualcosa di cui bisogna preoccuparsi. Anzi, casomai è l’opposto. Ne avremmo solo da guadagnarci a fare come Borges, che in una delle sue speculazioni filosofiche attribuì a Pierre Menard la paternità del don Quijote, o come Roland Barthes, che, in un raptus postmodernista, arrivò a uccidere niente meno che [la figura del] l’autore. 

Tribute game

Una giacchetta blu, una zazzera bionda domata a fatica in un codino, una spada infoderata dietro la schiena e il cosplay di Link è bello che servito. Per il background poi non occorre scendere troppo nei particolari, basta giusto quel briciolo di mistero a giustificare il gironzolare armati a menar fendenti a destra e a manca, e siamo pronti a partire per Gaia. “Il pianeta terraformato” è un luogo dove tecnologie futuribili ed elementi di magia arcana si mescolano e si confondono in un modo che in teoria non potrebbe mai funzionare, eppure, per qualche strano motivo, sta in piedi.

È un mondo uscito dallo stesso stampo dell’Hyrule di Ocarina of Time, da cui riprende anche la struttura a “stanze”, ovvero macroaree collegate tra loro a creare un’illusione di spazi sconfinati in cui avventurarsi, in cerca di dungeon pieni di tesori nascosti e una grande varietà di mostriciattoli con cui scornarsi. La componente esplorativa del gameplay è dunque la più convincente, soprattutto in quei frangenti dove il gioco molla le redini e concede la libertà di girovagare senza un ordine prestabilito.

D’altra parte però è difficile non notare la presenza di alcune grossolanità che ne intaccano la la brillantezza. Ad esempio, desta perplessità la capacità del protagonista di lanciarsi da grandi altezze senza riportare alcun danno. E, sempre a proposito di salti, fa davvero specie la scelta — filologica? reazionaria?, di sicuro anacronistica — di riproporre l’auto-jump, dopo che persino Aonuma è riuscito a liberarsene. Rimanendo in tema esplorazione, avrebbe fatto decisamente comodo una mappa più dettagliata e con i luoghi di interesse ben evidenziati, soprattutto in quei contesti come la Città Bianca, dove orientarsi tra le viuzze e i diversi edifici diventa spesso complicato. 

Ocenhorn 2

Naturalmente, Oceanhorn 2 non sarebbe uno zeldalike che si rispetti senza la presenza di oggetti speciali in grado di sbloccare nuove possibilità di interazione, aprire nuovi percorsi, in altre parole segnare il passo della curva d’apprendimento. A questa ricetta i Cornfox & Bros. hanno pensato bene di aggiungere un altro ingrediente, ossia un sistema di leveling che però si rivela, alla prova dei fatti, un pleonasmo che poco aggiunge all’esperienza di gioco.

Più riuscita invece l’idea di un party a sostegno del protagonista, non tanto per il supporto nelle fasi di combattimento — decisamente trascurabile in questi frangenti — quanto per il loro utilizzo nella risoluzione dei gustosi puzzle ambientali. Proprio nelle interazioni con i comprimari si riesce a intravedere una cura nei dettagli e nella scrittura insospettabile in un gioco indirizzato al mercato mobile quale Oceanhorn 2 è. Sono dettagli che è possibile cogliere nei dialoghi — quasi tutti doppiati —, nelle venature di malinconia nelle parole di Gen l’automa tecnomagico che ci accompagna nell’avventura — e persino nei fugaci “scambi” con le guardie nella Città Bianca, e che evidenziano una scrittura più ricercata della media in produzioni di questo tipo, sebbene mostri tutti i limiti di un budget non certo all’altezza delle ambizioni del team.  

Oceanhorn 2

Lo stesso discorso si potrebbe fare per la veste grafica, dove un design veramente anonimo, soprattutto dei personaggi, crea un effetto plasticoso che mal si amalgama con la resa estetica abbondantemente sopra la sufficienza degli ambienti, specialmente per quanto riguarda gli spazi interni.

In definitiva, Ocenhorn 2 è un clone godibile, che al netto delle lacune e dei passi falsi riesce a comunque a divertire con un po’ di sano gameplay avventuroso ed esplorativo. Ciò detto, mi rendo conto di aver fallito nel tentativo di stabilire dove si trovi il limite tra omaggio e plagio, ma mi accontento di averne constatato l’inesistenza — o almeno credo.

Come dite? La risposta all’indovinello? Beh ma quella, se leggete bene, vi accorgerete che ve l’ho già data. 



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